Economia Turismo

Perché arrendersi al crollo del turismo invernale non è una buona idea

Scritto da Greta Ruaro

Vorrei andare in prestito di un concetto che appartiene più al mondo dell’economia che a quello del turismo, per fare una riflessione sullo stato del turismo invernale nel nostro territorio.
Un grande economista sovietico, Nikolai Kondratieff, è stato uno dei massimi studiosi dell’aspetto ciclico dell’andamento dell’economia. Egli aveva una visione molto “umana” dell’economia, arrivando a dividere e nominare i periodi ciclici come le stagioni dell’anno: primavera, estate, autunno e inverno. È per lui un fattore fisiologico che tutto ciò che riguardi l’opera umana, quindi anche e soprattutto l’economia che è una sua propria peculiarità, abbia prima o poi una fine, ma anche un nuovo inizio.
Ciascuna fase è ben definita: se proviamo ad immaginare graficamente il ciclo (che vedete stilizzato nell’immagine in testa all’articolo) notiamo picchi di massimo e punti di minimo ai quali seguono le successive stagioni. Viene chiamata “onda K” (da Kondratieff appunto) l’intero sviluppo di questo ciclo.
Le quattro componenti vengono descritte come:

  • Fase Primaverile (si sale molto): viene avviato un nuovo sistema di produzione, segue il successo economico, comincia una (salutare) inflazione
  • Fase Estiva (si scende un po’): avviene uno scavalco del livello di successo e l’inflazione comincia a causare danni
  • Fase autunnale (si torna a salire): per sanare l’inflazione si mette in atto un strategia che porta ad un boom del credito che crea una falsa situazione di prosperità ma che poi termina in una bolla speculativa
  • Fase Invernale (si scende a caduta libera): ormai i giochi sono fatti, chi ha potuto arricchirsi lo ha fatto e si è ritirato dal gioco, a spese di chi invece non ha potuto defilarsi in tempo dall’investimento che ormai ha cessato di fruttare. Generalmente i media cercano di mascherare il fallimento, avviene una forte deflazione delle materie prime e ne segue una grave depressione economica.

Ed eccoci: lo schema sembra applicarsi a pennello a quanto succede nel settore in cui Primiero concentra maggiormente la sua attenzione e le sue risorse: lo sci da discesa volto al turismo di massa.

Già in precedenza abbiamo parlato di turismo invernale, delle sue sfaccettature e proposte (se vi siete persi gli articoli li trovate ad esempio qui e qui).

Purtroppo si tratta di un’area turistico-economica che mostra un calo rispetto i decenni scorsi; è chiaro che non esiste una causa sola, e soprattutto che quella causa non è tutta “colpa” o “conseguenza” di scelte passate e presenti. Il declino del turismo invernale a Primiero (e un po’ ovunque a dire il vero), è in gran parte dovuto alla crisi economica globale assieme ad altri fattori verso i quali non abbiamo possibilità di confrontarci, come ad esempio l’innalzamento delle temperature e lo slittamento della stagione “delle nevi” di un mese o più.
Tuttavia, come in ogni momento di crisi, si può scegliere di subire (e pesantemente) i danni o piuttosto cercare di minimizzarli e guardare al futuro come scoglio a cui ancorarsi per non essere spazzati via dalla burrasca economica.

Non è quello che stiamo facendo, o almeno non in modo organizzato e cosciente. Questo dovrebbe se non intimorire almeno allarmare chi opera nel settore e chi grazie a quel settore vive, vale a dire tutti coloro che vivono in in posti come il nostro.

Se da un punto di vista ecologico è già ampiamente appurata la non-sostenibilità dello sci da discesa, qualora venisse a mancare anche la sostenibilità economica c’è da chiedersi come mai si continui a scommettere su un cavallo che è ormai zoppo a tutte le zampe.
Le idee alternative allo sci da discesa del resto sono molte, anche se purtroppo rimangono solo idee il più delle volte, mentre altre volte hanno riscosso entusiastico successo.
Molte di queste idee richiedono comunque impianti di risalita e piste battute, ma andrebbero sicuramente ad ampliare l’offerta al turista di oggi che, rifuggendo l’etichetta “di massa”, desidera un approccio diverso, originale e “alternativo” alla neve, magari anche più economico in termini di attrezzatura; queste novità, del resto già attive in altre località, permetterebbero una maggiore competitività in un mercato altrimenti monotematico dello sci/snowboard, dove stanno emergendo fortissimi (e vicinissimi) conocorrenti.
Per fare una carrellata di queste attività, si parte dal classico sci di fondo, sci alpino, slittino/bob, ciaspole, ai più innovativi boogie board, snowkite (che uniscee lo snowboard al parapendio), lo speed riding (che unisce sci o snowboard alla vela), sleedog (cioè slitta trainata da cani), ski-bike, e per non restare solo sulla neve citiamo il classico pattinaggio e l’estremo immergersi nei laghi ghiacciati (ovviamente con un buon istruttore e tutte le garanzie di sicurezza…!).
Perchè, data la cronica mancanza di neve, non prendere poi in considerazione quella nicchia di amanti della natura che trova più emozionante avvicinarsi alle cime quando l’aria è più cristallina, i paesaggi più nitidi, gli orizzonti privi di foschia? Perchè non considerare l’alpinismo invernale come un ulteriore asso nella manica e non spingere anche in questa direzione?

Purtroppo però non sono solo le idee che ci possono salvare, bisogna anche metterle in pratica in un sistema ordinato e soprattutto calcolato da persone qualificate, che sappiano comprendere i segnali economici e gli indicatori; dopo aver redatto questo piano non dovrebbe rimanere nascosto negli uffici, ma raccontato, spiegato e raccomandato a tutti, “comuni” cittadini inclusi, perchè anche loro fanno parte della mentalità del luogo che va coltivata e aperta a un turismo del futuro.

Come non ci si metterebbe mai in viaggio per nave senza un buon navigatore ed una rotta ben studiata, non si dovrebbe nemmeno pensare di fare un investimento a lungo termine, senza un buon business plan e qualcuno in grado di operare aggiustamenti in corso d’opera, e soprattutto un addestramento specifico per tutta la ciurma, passatemi la metafora, dal capitano al mozzo.

Il potenziale c’è, dato il contesto in cui viviamo e che non siamo mai stanchi di citare come uno dei luoghi più suggestivi del mondo.
Anche l’interesse turistico c’è ed è molto forte: sempre più persone, quando sono in cerca di una vacanza lontano dalle città, cercano qualcosa di più autentico e vicino alla vita semplice e senza stress, di un approccio più dolce e “slow”.
Altrettanti sono invece i turisti in cerca di attività diverse e talvolta estreme, anche queste ben lungi dalle piste monitorate e sicure. Anni luce insomma dal turismo di massa sul quale ancora contiamo troppo senza però poterci, ahinoi, adeguare agli standard della conocorrenza.

Quello che manca è forse la volontà, non solo delle Amministrazioni che è sempre facile additare, ma di tutti noi che è grazie al turismo che direttamente o indirettamente viviamo. O più della volontà forse ci manca la motivazione, la fiducia in un futuro tangibile.
È indispensabile allora aprire gli occhi sulla realtà, smettere di essere nostalgici di un’epoca d’oro che è ormai morta, guardare in avanti e essere consapevoli che sta arrivando un momento difficile, molto più difficile di quello che già stiamo vivendo; non bisogna perdere il coraggio ma accrescerlo: con una buona pianificazione troveremo una strada sicura, anche se molto in salita, per garantirci la sopravvivenza e la ricrescita.
Un primo passo potrebbe essere il proporre e promuovere idee innovative e in linea con i tempi, che vadano al passo con i nuovi tipi di turista che si distacca sempre più dalla “massa” e cerca un suo piccolo angolo privato. O ancora attivarsi per aiutarsi a vicenda creando una rete valida in cui scambiarsi idee e competenze.
Ciascuno di noi può, o meglio dovrebbe, impegnarsi in tutto questo, se vogliamo permettere a Primiero di salvarsi dalla tempesta in arrivo.

Greta Ruaro

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4 Commenti

  • Senz’altro condivisibile, ma di difficile realizzazione purtroppo. Il problema credo si allargherà ad altre zone sciistiche nei prossimi anni. Sarebbe quantomeno da prendere in considerazione.

  • Ciao, sono molto in disaccordo con il ricorso, contenuto nell’articolo, ai cicli di Kondratieff, perchè da quello che ne so la loro fondatezza è pari a zero e rimangono una curiosità economica o al massimo un attrezzo ideologico dei vari complottisti/prepper americani che si preparano alla caduta dell’impero ammucchiando monete d’argento e scatolette di conserve e costruendo casette di legno nel bosco circondate da filo spinato (“bullion, beans and bullets”). Ma in generale l’idea del ciclo economico applicato alla nostra valle è ottima, molto interessante e credo anche nuova, per cui incoraggio l’autore a proseguire su questa strada, magari appoggiandosi a dottrine scientifiche ben più fondate, in particolare a quelle di Marx e Lenin le quali, essendo materialistico-dialettiche, rifuggono da qualsiasi vizio deterministico e meccanicistico. A questo proposito richiamo un mio commento di pochi mesi fa su altro blog, in cui cercavo di mettere in prospettiva storica il +25% di turismo preconizzato da parte di Trentino Sviluppo per il nuovo impianto di risalita Trento-Bondone:

    Tutto bene per questi nuovi progetti, ma il problema di fondo della tendenza declinante dell’economia non si sposta di un millimetro, se lo consideriamo nella media del suo ciclo storico. Un nuovo impianto attirerà sicuramente turisti, ma sottraendoli ad altri impianti in concorrenza. E quindi poi si ripartirà con una nuova serie di infrastrutture per richiamare visitatori verso le valli che poi risulteranno meno competitive. Solo un aumento massiccio della popolazione, accompagnato dalla creazione – in questo momento utopistica – di nuovo lavoro, fenomeno simile al boom demografico ed economico degli anni 50-60-70 potrebbe creare nuova ricchezza (ricordiamo, con Marx, che il capitale prodotto in ultima istanza deriva unicamente in media dal numero di ore di lavoro salariato impiegato). L’ascesa capitalistica dell’Asia (e speriamo in seguito dell’Africa) che sta salvando il mondo occidentale dalla caduta generale del saggio del profitto, è spiegabile unicamente con la proletarizzazione di centinaia di milioni di esseri umani affrancati dal lavoro semifeudale delle campagne e dalla corrispondente nascita di nuove classi borghesi. Il declino demografico dell’Europa non promette bene in questo senso, a meno di nuove enormi ondate migratorie. Potrebbero arrivare turisti stranieri, ma ricordiamo che i flussi di ricchi cinesi in italia è poco più del 3%, e in ogni caso sarebbero bilanciati da un flusso interno in uscita verso nuove mete esotiche che si affacciano sul mercato turistico. Quello che resta sarà un aumento del ferro, dell’asfalto e del cemento, sotto forma anche di ridicole mascherature ideologiche pseudo-ambientaliste, quali piste ciclabli, funivie, sentieri attrezzati, cremagliere, strade forestali, ecc.

    • Grazie al lettore “OrsoBubu” per il gentile commento.
      Spiego subito la scelta, tra tante, della teoria di Kondratieff: per la sua generalità e immediatezza, grazie all’utilizzo di una metafora (le stagioni), è di immediata comprensione anche per i più profani ai concetti degli andamenti economici, e questo è, a grandi linee, quanto. L’intento mio in questo articolo di riflessione non è il dare una dimostrazione accademica di una teoria decisamente datata, quanto piuttosto di servirmene per parlare della ciclicità dell’economia (studiata e meglio chiarita da ben altra letteratura in modo più o meno verificato dalla storia) in un linguaggio “alla portata di tutti”, me per prima che certo non mi considero minimamente esperta di economia quanto piuttosto incuruiosita dallo studio della materia applicabile, quale concetto astratto, ad una realtà invece tangibile.
      Si tratta in effetti solo di un punto di partenza mentale da cui far scaturire ragionamenti che a loro volta hanno il desiderio di farne nascere molti altri, come ad esempio quello da Lei gentilmente espresso qui. Dunque, grazie della riflessione!
      Greta Ruaro

  • Infatti, bisognerebbe darsi da fare per stimolare un po’ di questi ragionamenti nel primiero, io ci ho anche provato in passato, nel mio piccolo, pur fallendo miseramente. Il punto centrale della questione è che possiamo anche passare tutta la vita a cercare di influenzare, trasformare, informare la piccola realtà locale che ci circonda, e magari dopo decine di anni di sforzi riusciamo ad ottenere qualcosa, ma inevitabilmente arriverà DALL’ESTERNO un’ondata gigantesca legata a fattori mondiali, indipendenti dalla nostra volontà, che travolgono tutto e annullano in un colpo solo qualsiasi progresso fatto finora. Per non sprecare tempo e buttare via tutto bisogna quindi agire in un modo diverso. Comunque mi sono segnato il vostro bel sito e casomai ne riparleremo. grazie ciao a tutti.

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