Cultura

“La cultura è sempre un atto politico”. Intervista ad Andrea Gasparini

Andrea Gasparini

di Irene Grazzi

Nel 1988 un romanzo scritto da James Oliver Curwood porta la valle di Primiero ad essere ammirata in tutto il mondo; proprio in quell’anno infatti un film tratto dal libro “The Grizzly King: A Romance of the Wild”, viene girato nelle Dolomiti e gli scorci fotografici curati da Philippe Rousselot esaltano le bellezze di Primiero, rendendole un elemento imprescindibile per il successo de “L’orso” di Jean-Jacques Annaud. Il film fu un successo per la critica ed il pubblico, aggiudicandosi diversi premi ed una nomination agli Oscar (pensare che la produzione aveva inizialmente individuato i parchi naturali della Provincia di Bolzano per le riprese, ma i politici e tecnici dell’assessorato alla tutela dell’ambiente e dell’ufficio Parchi naturali indussero la produzione a rinunciare per il movimento di persone e strumentazioni che si sarebbe generato durante le riprese).

Nel 1988 inizia anche il romanzo postmoderno di Andrea Gasparini, nato a Treviso, ma che a Primiero cresce e coltiva la sua passione per la scrittura, scaturita dall’alchimia tra musica e letteratura; conseguito il diploma continua a studiare ed inizia a viaggiare: Padova, Londra, Granada, Bologna. Nella “rossa” si ferma e con una Laurea in Lingue, letterature e culture moderne ed una in Lingua e cultura italiane per stranieri, affianca la professione d’insegnante d’italiano per stranieri alla passione per la scrittura. Nell’ottobre 2015, pubblica il suo primo romanzo, intitolato “La notte dell’incertezza”.

E se la sua storia fosse un racconto, sarebbe sicuramente un romanzo pop postmoderno, ricco di episodi tragicomici, incontri e intrecci fatali. E sarebbe sicuramente un lavoro narrativo sulle relazioni. Non esisterebbero personaggi ma persone, e l’ambientazione varierebbe a seconda dell’altitudine: si passerebbe quindi dalla campagna veneta alle montagne trentine, transitando per città più o meno provinciali. I mutamenti sarebbero lente evoluzioni corporee, caratteriali e spirituali; ma lo spannung Andrea non lo rivela, altrimenti tra sessant’anni non vi comprerete la sua autobiografia.

Ma quando è scattata la scintilla che ha fatto nascere la tua passione per la scrittura?

Alle elementari, la mia maestra di italiano, storia e geografia, ci propose un video. Era un estratto da un concerto di De André. La canzone che ascoltammo, era “Fiume Sand Creek”. Ne leggemmo insieme il testo e poi lo analizzammo. Ricordo che giunti ai versi: “[…]le lacrime più piccole, le lacrime più grosse/quando l’albero della neve fiorì di stelle rosse[…]” ci disse: “Le lacrime più piccole sono quelle dei bambini, quelle grosse degli anziani. E l’albero della neve che fiorisce di stelle rosse, indica che la purezza è stata inquinata dal sangue della guerra.”. In quel momento, fu per me meraviglioso scoprire quante cose si potessero dire usando delle parole che pensavo avessero soltanto un significato. Quello fu il seme della mia passione, sbocciato anni dopo nella forma di poesie adolescenziali nichiliste e bucoliche.

Com’è il tuo rapporto con la scrittura; dove trovi gli stimoli e le soddisfazioni?

Con la scrittura ho un rapporto di amore-odio: amore, perché senza di lei non saprei stare; odio, perché non sono mai soddisfatto di quel che scrivo, vorrei essere sempre più preciso e meno autoreferenziale. La soddisfazione di riceve critiche costruttive da lettori sconosciuti, è comunque ciò che più mi alletta. Non sono orgoglioso dei progetti che porto a termine, per il semplice fatto che so di aver fatto quello che era nelle mie corde. Sono invece stato estremamente stimolato dalla scrittura del mio primo e unico romanzo, La notte dell’incertezza: per dirla con Calvino, il libro che non avrei mai voluto pubblicare e allo stesso tempo l’unico che vorrei nella mia bibliografia.

Ti ispiri a qualcuno o a qualcosa?

Mi ispiro a moltissimi esseri umani e ad altrettanti elementi naturali e artificiali. Nella mia formazione hanno un ruolo fondamentale i romanzi di Kundera, Terzani, Wu Ming, nonché i nostri paesaggi montani e quelli che ho incontrato nei miei viaggi, Londra e la Toscana in primis.

Cosa ritrovi delle tue radici in quello che vorresti esprimere con i tuoi lavori? Essere nato in montagna, come ha favorito e/o sfavorito la ricerca di una tua dimensione-affermazione?

Nei miei lavori, ritrovo l’onestà intellettuale delle persone per bene con cui sono cresciuto. Se hai le radici piantate a Primiero, possiedi una corteccia di genuinità parecchio spessa, a proteggerti dalle superficialità, particolarmente tossiche, di certi ambienti cittadini. Aver trascorso gran parte della mia vita all’ombra del Castel Pietra, mi ha sfavorito nell’incontrare la “gente che conta”, ma mi ha regalato la possibilità di avere nei ricordi le personalità della “gente che conta veramente”.

Torneresti a Primiero?

A Primiero ci tornerò sicuramente, ma non so ancora quando. Al momento, ho bisogno di vivere in una città, con tutti i suoi pro e i suoi contro, ma quando sentirò la necessità dei pro e dei contro della nostra Valle, saprò che avrò già un porto sicuro dove attraccare.
Quando torno in Valle, la prima riflessione che mi viene in mente è sempre la stessa: “Questa è la Contea di Bilbo Baggins, popolata da gente che potrebbe benissimo recitare in Twin Peaks.”

Nel tuo romanzo si sviluppa una complicata ragnatela di vicende, fatte di rapporti e  intrecci vissuti dai tre personaggi principali; tra questi Francesca, una ragazza frustrata per la completa mancanza di prospettive professionali dignitose; di ragazzi/e come lei ce ne sono molti anche a Primiero. Cosa diresti/consiglieresti ad una fantomatica Francesca che vorrebbe vivere e lavorare a Primiero?

Ad un’ipotetica Francesca primierotta, consiglierei di prendere in mano il foglio bianco che la Crisi le ha consegnato, così che possa scriverci quello che vuole, magari la sua vita. Le direi di provare a creare quello che le piace, lì, dove quello che le piace non c’è. Non è facile, certo, ma gli strumenti e le possibilità non mancano a nessuno. Dal fondo non si può che risalire, e a Primiero si parte già da una bella quota!

E se avessi tu un foglio bianco in mano, cosa scriveresti in merito a cosa potrebbe essere realizzato per rendere la Valle un presidio culturale moderno e riconosciuto?

La Valle è già per certi versi un modello moderno, vedi il SotAlaZopa o, perché no, anche il vostro blog, che si sta dimostrando articolo dopo articolo sempre più attento a ciò che nel fare cultura conta davvero, ossia il contenuto. E poi abbiamo degli unici ed abilissimi scultori del legno.

Rivisitare la tradizione per dare nuovi input alla contemporaneità, questo mi sento di suggerire.

Progettare e realizzare cultura, comunque, è sempre un atto politico. E se il politico valligiano ricoprente la carica più importante, nelle interviste dà risposte di questo tipo: “Ti senti più di destra o di sinistra? Non ho mai avuto alcuna tessera politica ed ho votato di tutto nella mia vita”, oltre che a riportarmi alla mente le parole di Guccini in Addio: “[…]o sceglie a caso per i tiramenti del momento/curando però sempre di riempirsi la pancia[…]”, mi rende perplesso sulla sua capacità di imbastire un discorso culturale degno di tal definizione. Nutro però grandi speranze nell’operato di Nicolò Simoni, uno che sa stare sul pezzo, e nell’Associazione Aguaz, che attraverso le sue attività ha dato fresca linfa alle sinapsi dei giovani primierotti.

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