di Irene Grazzi
È nato nel 1983, era un venerdì di gennaio. In America la ARPANET dava ufficialmente vita a Internet, qualche mese dopo sarebbe uscito in commercio il primo telefono cellulare e pochi giorni più tardi le macchine fotografiche avrebbero sperimentato l’avanzamento automatico del rullino. A Primiero queste notizie forse non saranno sembrate particolarmente rilevanti, ma questi strumenti che ad inizio anni 80 hanno visto i loro albori, sarebbero diventati gli attrezzi del mestiere di Matteo Scalet, fotografo freelance che riesce a scrivere storie attraverso la fotografia.
Ma se dovessi raccontare la tua di storia, con che scatto la rappresenteresti?
Se fosse uno scatto di musica live, la mia storia potrebbe essere riassunta in uno scatto di un membro di una punk rock band californiana durante un crowd surfing sopra ad una folla sudata o mentre salta a gambe aperte durante uno stacco di una canzone a 180 bpm. Se fosse uno scatto di matrimonio, ritrarrebbe invece una coppia di sposi durante la cerimonia in una spiaggia caraibica assieme agli amici di una vita, un falò e tanta bella musica.
Due situazioni completamente opposte tra di loro ma che rispecchino il mio carattere o perlomeno questo periodo della mia vita: energia/armonia, rabbia/amore.
Com’è iniziato il tuo viaggio in questo mondo?
Proprio durante una serie di viaggi fatti all’estero una decina di anni fa, da allora penso di non aver mai più smesso di pensare alla fotografia. Poi ho deciso di specializzarmi percorrendo due strade che apparentemente sembrano agli antipodi: la fotografia di musica live e la fotografia di matrimonio.
Nel primo caso alimento la passione per la musica (Matteo è anche un musicista, nda) collaborando con varie webzine italiane; mentre il secondo è il settore che mi sta occupando sicuramente la maggior parte del tempo. Sono due settori che penso abbiano un aspetto fondamentale in comune, ovvero quello di riuscire a cogliere l’attimo, l’emozione di un preciso istante.
Cosa ami di ciò che fai e qual è il progetto che ti ha coinvolto di più?
Amo fotografare i musicisti che ascolto ma anche artisti nuovi che successivamente, grazie alla fotografia, inizio a seguire. Adoro fotografare le persone in generale, cercando di cogliere l’emozione o comunque le loro peculiarità.
Il progetto che mi ha soddisfatto di più è stato documentare per 3 anni di fila uno dei festival più grandi d’Europa, lo Sziget Festival; non solo gli artisti ma soprattutto la bellissima atmosfera che si respira, attraverso le emozioni di centinaia di migliaia di persone che per una settimana hanno l’opportunità di vivere in armonia e in piena libertà tra di loro.
La profonda passione per la musica e l’attenta ricerca dell’espressione emotiva delle persone che incontri, non le racconti solo attraverso la fotografia, ma le esprimi concretamente; sei un musicista con 3 album all’attivo ed un educatore in un’importante cooperativa sociale trentina, cosa rappresentano questi due elementi nella tua variegata espressione umana ed artistica?
Far parte di queste varie realtà implica molto impegno soprattutto dal punto di vista mentale; gli ambiti in cui mi esprimo, anche se potrebbero sembrare molto differenti tra di loro, si ritrovano nella mia attività fotografica e sono portatori di creatività.
L’essere musicista mi aiuta a creare un filo diretto con il palco, nel capire come la band o l’artista di turno si potrebbero muovere durante l’esibizione o comunque il momento migliore per scattare.
L’essere educatore mi ha portato invece ad accrescere la mia empatia nei confronti delle persone, sia al lavoro, ma anche al di fuori di esso. Provo a comprendere le persone che ho davanti, i loro stati d’animo e immedesimarmi nelle loro emozioni, positive e negative, sintonizzandomi su ciò che stanno sentendo. Tutto ciò, lo provo poi a trasmettere attraverso la fotografia.
Nel tuo lavoro ti ispiri a qualche fotografo in particolare?
Ci sono grandi e inarrivabili mostri della fotografia di cui adoro guardare i lavori, non tanto per prendere spunto bensì per cercare di studiare il modo in cui lavorano. Adoro gli scatti di Tony Hoffer, Ben Chrisman, Igor Bulgak e dell’italiano Cristiano Ostinelli, nell’ambito delle fotografie di matrimonio; per quanto riguarda la musica live Neil Lupin e Danny Clinch. Adoro anche i fotoreporter Steve McCurry e l’italiano Vittore Buzzi e per quanto riguarda la fotografia ritrattistica, l’americano Sean Archer.
Essere nato in montagna, come ha favorito e/o sfavorito la ricerca di una tua dimensione-affermazione artistica?
La passione per la fotografia, come detto in precedenza, è nata anni fa principalmente grazie a scatti fatti durante alcuni viaggi all’estero ma anche dei paesaggi della mia valle. La fotografia nell’ambito della musica live ha avuto avvio proprio a Primiero grazie al festival SotAlaZopa. I primi reportage fotografici del festival mi hanno fatto conoscere ed hanno favorito l’inizio di collaborazioni con webzine nazionali, con la conseguente costante ricerca di miglioramento in questo settore.
Per quanto riguarda la dimensione artistica nella fotografia di matrimonio tutto è partito da Primiero; devo ringraziare Gabriele, il quale mi ha spinto, grazie al suo matrimonio, a lanciarmi anche in questo settore in cui non avrei mai pensato di lavorare.
Cosa ritrovi delle tue radici in quello che vorresti esprimere con il tuo lavoro artistico? Cosa rappresenta Primiero per te?
Attraverso i miei lavori cerco di catturare emozioni sane e vere che la Valle di Primiero, attraverso i suoi luoghi e la sua gente, mi ha trasmesso durante la mia infanzia.
Sono nato e cresciuto in questa valle. Solo da alcuni anni ho iniziato ad apprezzarla appieno capendo quanto sono stato fortunato a crescere in questi splendidi luoghi in cui molte altre persone sognano di vivere. Ciononostante, penso al momento farei fatica a tornare a viverci stabilmente, principalmente per una mancanza di offerta collegata alle mie attività e passioni. Primiero ha un potenziale enorme dal punto di vista turistico ma forse non si è ancora riusciti a trovare le idee o le strategie adeguate per valorizzarla al meglio. In questi ultimi anni, noto che qualcosa si sta muovendo, vari giovani che tuttora vivono in valle stanno contribuendo a renderla il luogo che si merita di essere.
Con la rubrica Portrait, stiamo raccontando storie di giovani che hanno realizzato le proprie passioni rendendole parte del proprio progetto di vita. Le Politiche Giovanili della Provincia Autonoma di Trento hanno attivato un bando che seleziona storie di giovani under 35 che, attraverso il percorso compiuto e il progetto realizzato, siano da esempio per altri giovani. Michele Bonfante e Matteo Scalet potrebbero essere dei perfetti esempi per il bando Strike, al quale si può partecipare raccontando la propria storia sul sito strikestories.com.
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